Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

Teatro ribalta
27 Marzo 2025

I primi dieci anni del Teatro la Ribalta in un libro

Floriana Gavazzi, «RaiNews»

Un libro fresco di stampa raccoglie i primi dieci anni di storia del Teatro la Ribalta – Arte della diversità, che ha fatto di Bolzano un centro di eccellenza per la ricerca teatrale con persone in situazione di disagio psichico.

Ne abbiamo parlato con il fondatore e regista Antonio Viganò. Il primo spettacolo manifesto è stato Impronte dell’anima, sulla follia nazista che pianificò l’eliminazione sistematica delle persone con disabilità. Uno spettacolo che, in una nuova versione, va in scena ancora oggi.

Impronte dell’anima è stato il primo di 17 spettacoli prodotti e messi in scena tra il 2013 e il 2023 dal Teatro la Ribalta – Kunst der Vielfalt in «dieci anni straordinariamente normali», come dice il sottotitolo del libro appena uscito, edito da Cue e curato dal compianto Massimo Bertoldi. Lo storico del teatro dell’Alto Adige morì improvvisamente il 31 agosto 2024, pochi giorni dopo la chiusura del libro.
Oggi la cooperativa sociale di tipo B del Teatro la Ribalta dà lavoro a 16 persone, di cui 11 svantaggiate. La sede T.RAUM, in zona industriale a Bolzano, è diventata troppo piccola.

Con un’ottantina di repliche all’anno, tournée in 9 paesi europei e 4 extraeuropei, diverse coproduzioni e un proprio cartellone teatrale – Corpi eretici – il Teatro la Ribalta si è affermato in Alto Adige come una realtà culturale di grande vitalità e ha ottenuto una serie di prestigiosi premi nazionali. Vogliamo essere parte del teatro e non un teatro a parte, ci ha detto Viganò.

Il libro sui primi dieci anni del Teatro la Ribalta sarà presentato il 9 aprile alle 18 alla libreria Cappelli di Bolzano.

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Michael mann 800x400 jpg
25 Marzo 2025

Cacciatori di Mann

Andrea Pirruccio, «FilmTv»

Il libro MannHunters curato da Alessandro Borri — esaustiva bibbia dedicata a scandagliare l’opera e la personalità di Michael Mann e preziosa fonte di informazioni per questo articolo — riporta una citazione del critico John Wrathall secondo cui «Mann è il miglior regista d’architettura dai tempi di Antonioni». Proviamo a dare credito a questa affermazione prendendo in esame solo uno dei suoi capolavori Manhunter. Che si apre sulle immagini amatoriali di una delle case della suburbia di Atlanta ripresa dal serial killer Dollarhyde (soprannominato ‛dente di fata’ nell’adattamento italiano) mentre ne sta violando gli ambienti.
All’autore bastano pochi secondi per restituire la normalità ‛familiare’ dell’alloggio: i gradini rivestiti di moquette su cui campeggia il peluche di un pinguino (la traccia di un bambino), la stanza dei figli riconoscibile dal caos di indumenti appallottolati su una moquette blu, poi la camera da letto in cui riposa una donna e, sullo sfondo, una porta a vetri che lascia intravedere un giardino.

Dopo i titoli di testa si passa a un’altra abitazione: quella, magnifica, dell’agente Graham e che all’epoca era la villa sull’isola di Captiva, al largo della Florida, in cui viveva l’artista neo-dada Robert Rauschenberg. Al progetto originale Rauschenberg aveva apportato delle modifiche, chiudendo il piano terra e aggiungendo porte scorrevoli vista mare. Questa necessità architettonica di aprirsi verso l’esterno, già resa volutamente visibile (nelle inquadrature manniane nulla è casuale) nella casa profanata dal maniaco, è in Manhunter indizio di equilibrio, tensione verso un ricercato contatto col prossimo.

Definita da volumi di mirabile essenzialità e purezza, la costruzione affacciata sul golfo del Messico è presentata da un movimento all’indietro della macchina da presa: il piano che mostra l’agente e il figlio intenti a costruire un recinto si allarga a includere la villa, dove la moglie del protagonista si gode la vista dal terrazzo del piano superiore, retto da quattro agili pilastri collocati davanti al portico e alle vetrate del livello inferiore.

Poco dopo, una scena straordinaria mostra di spalle le sagome della donna e del collega del marito dall’interno della residenza davanti a un tramonto mozzafiato. Segue un altro momento in cui la coppia, ancora davanti alle vetrate, è immersa in quel blu che tutti gli amanti del regista conoscono bene, e che sembra provenire contemporaneamente dal mare e dal cielo, lasciando pensare che non possa esserci niente di più bello. Sempre nel libro di Borri trovo questa dichiarazione del direttore della fotografia, Dante Spinotti, che a proposito di questa sequenza ricorda: «C’era questa vetrata sull’oceano e cominciai a inserire una serie di gelatine blu e dei neutri molto pesanti. Attraverso le gelatine si vedeva il mare con il sole in controluce e mi venivano in mente quelle scene in effetto notte girate sui piroscafi negli anni Trenta, con la luna che scintilla nel mare. Rauschenberg entrò e disse ‘Ah, ci andate giù pesanti col romanticismo’».

Dopo aver visitato la casa del massacro ripercorrendo i passi di Dollarhyde, Graham sa cosa dovrà affrontare: ha visto la moquette blu nella stanza dei bambini intrisa di rosso, ha visto il bianco della camera da letto macchiato del sangue delle vittime e poi si è guardato allo specchio, sentendosi sopraffatto. Un senso di soffocamento che Mann sottolinea appena dopo, inquadrando il detective nell’hotel in cui alloggia, l’Atlanta Marriott Marquis progettato da John C. Portman e all’epoca appena inaugurato, caratterizzato da un enorme atrio futurista alto 143 metri. Graham è ripreso all’interno del suo ascensore e dal basso, come se fosse schiacciato da una responsabilità a cui avrebbe voluto sottrarsi.

L’inquadratura seguente mostra la capsula inabissarsi fra le mura curvilinee dell’albergo, in uno spazio affascinante e insieme opprimente. Giorni dopo, in cerca d’indizi che possano aiutarlo a catturare ‛dente di fata’, il poliziotto si reca dalla sua nemesi: quel dottor Lecktor (Lecter nel romanzo di partenza e nei film successivi) che lui stesso ha contribuito a rinchiudere in un carcere di massima sicurezza. La sua cella è un incubo bianco: bianchi sono i mattoni alle pareti, le sbarre che lo imprigionano, le lenzuola, la sua tenuta da detenuto. Ma bianco è anche il percorso che accompagna l’agente nella sua corsa verso l’uscita, come lo sono le rampe inquadrate dal regista mentre il suo ‛eroe’ le percorre freneticamente alla ricerca di aria, e che non possono non ricordare quelle del Guggenheim di Lloyd Wright.
Bianco, ancora, è il ponte all’esterno, in cui Graham cerca di riprendere fiato. Mann ribalta di senso quel colore simbolo di purezza, così come fa con quel luogo deputato all’arte e alla cultura che nella finzione diventa la prigione di un killer seriale. Si tratta dell’High Museum of Arty di Atlanta firmato Richard Meier, eletto tra le dieci migliori opere di architettura americana degli anni Ottanta: dodicimila metri quadri di pura ‛bianchezza’ (il candore è la cifra progettuale di Meier), rivestiti di pannelli d’acciaio smaltato e il cui accesso è affidato a una lunga rampa che raccorda indoor e outdoor. Rispetto al Guggenheim, dove le rampe sono anche gallerie espositive, le pareti dell’High Museum presentano finestre atte a illuminare gli ambienti e offrire una vista sulla città. Meier sottolinea il valore della luce parlandone come di «un simbolo del ruolo del museo come luogo di estetica illuminazione e di valori culturali liberi da pregiudizi». Valori che Mann sadicamente capovolge, facendo dell’opera una scatola chiusa attorno a tutto ciò che di maligno esiste al mondo.

Al termine di questo viaggio nel bianco, è curioso notare come sulla scrivania del direttore del penitenziario si stagli una lampada da tavolo Tizio di Richard Sapper, capolavoro di equilibrismo progettuale e meccanico, qui ovviamente in versione total white. Il libro di Borri riporta ancora una dichiarazione in cui Spinotti racconta come tra le fonti di ispirazione per arredare l’appartamento di Dollarhyde ci fosse il lavoro di Raymond Loewy, fortunatissimo industrial designer la cui cifra estetica più riconoscibile è data dalla linea curva e dell’aerodinamicità delle sue creazioni. A Loewy potrebbe far pensare la morbidezza della poltrona visibile nella prima scena ambientata chez ‛dente di fata’, mentre il gigantesco assassino si prende cura del giornalista che ha sequestrato e alle loro spalle si staglia una delle fotografie spaziali di cui abbonda l’abitazione.
A proposito del significato da attribuire alle case (nel cinema di Mann in generale e in Manhunter in particolare) Daniele Dottorini, nel libro di Borri, scrive che «gli spazi domestici possono aprirsi o proiettarsi all’esterno, come la casa di Will Graham […] o chiudersi in loro stesse, come trappole mortali o segno dello squilibrio di chi le abita. Se la casa non apre alla visione, non permette agli spazi di proiettarsi sul mondo esterno, allora questa diventa labirinto, prigione, luogo mentale e a volte contorto, come la casa del serial killer di Manhunter». L’analisi è corretta: contrariamente alla villa di Graham e agli alloggi delle vittime di Dollarhyde, l’appartamento di quest’ultimo non presenta vetrate scorrevoli, ma pareti di mattoni di vetro smerigliato (materiale utilizzato per celare, non certo per mettere in relazione) e una serie di finestre a bilico semichiuse, che sembrano minacciosamente pronte a chiudersi come ghigliottine su chi volesse utilizzarle come vie di fuga.

Non è un caso che Graham, per avere ragione del criminale, si serva di una di quelle finestre schiantandovisi contro e riducendola in frantumi, portando con sé una boccata di ‛esterno’ nella tana del mostro. Quest’ultimo è sconfitto, la sua organizzazione spaziale va a pezzi in parallelo a quella mentale, e Mann lo sottolinea con un uso del montaggio che non ha eguali e che — ultimo prelievo dal volume di Borri — i critici Aaron Aradillas e Matt Zoller Seitz descrivono così: «combinati con improvvisi cambiamenti di velocità e di direzione, gli stacchi disturbanti fanno sembrare che il film si stia disintegrando sotto i nostri occhi, andando a brandelli nel proiettore. Questo film sta avendo un esaurimento nervoso». È quello che succede quando uno spazio da sempre concepito come introiettato e introflesso subisce la brutale irruzione del suo contrario. Però nessuno avrebbe saputo metterlo in scena come Mann.

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Michael mann main
20 Marzo 2025

MannHunters: Michael Mann a 360 voci

«Salotto Monogatari»

In una puntata di Special Monogatari Marco Grifò e Simone Malaspina dialogano con Alessandro Borri curatore di MannHunters: Michael Mann a 360 voci, un volume che racchiude un lavoro pluridecennale di riflessione sul cinema e sulla figura del regista di Chicago.

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Wedekind
11 Marzo 2025

Risveglio di primavera, c’è il libro

Lucia Munaro, «Salto»

Un testo scandaloso

Nuova messa in scena a Bolzano del dramma teatrale Risveglio di primavera Frank Wedekind. Il testo originale Frühlings Erwachen, con il sottotitolo Eine Kindertragödie (Una tragedia di fanciulli), scritto tra il 1890 e 1891 e pubblicato dall’autore nel 1891 a Zurigo, fu vietato a lungo dalla censura tedesca e venne rappresentato per la prima volta solo quindici anni più tardi, nel 1906 a Berlino, continuando del resto a destare scandalo per il tema affrontato della sessualità degli adolescenti che intaccava i tabù della società del tempo, denunciandone l’ipocrisia. Non solo i temi scabrosi, dalla scoperta della sessualità fino allo stupro, l’aborto, l’omossessualità, il suicidio e l’irrisolvibile conflitto generazionale con il mondo degli adulti, in una società oppressiva che soffoca i sogni degli adolescenti, ma anche l’importanza dell’amicizia, i turbamenti che li agitano, le domande sulla vita e il desiderio di darle un senso, sono trattati da Wedekind con inedita naturalezza e sensibilità nei confronti dei giovani.

Anche la forma drammaturgica adottata dal poliedrico autore, drammaturgo, attore, perfino circense, è nuova e rompe gli schemi della narrazione classica. Diciannove brevi scene, dialoghi e monologhi intrisi di satira sociale, sostituiscono lo svolgimento lineare della storia, mettono al centro il conflitto interiore, le speranze spezzate, l’incomunicabilità e il disagio dei singoli personaggi. Gli aneliti dei giovani protagonisti Melchior e dell’amico Moritz, delle amiche Wendla, Martha e Thea, degli altri studenti e studentesse, si scontrano con l’ottusità, la rigidità e l’inadeguatezza di genitori e docenti della scuola, sbeffeggiati quest’ultimi da Wedekind fin dai nomi: il Preside Sonnenstich (Insolazione) e i professori del ginnasio Hungergurt (Cintura della fame), Knochenbruch (Frattura ossea), Affenschmalz (Lardo di scimmia), Knuppeldick (Grosso bastone), Zungenschlag (Schiocco di lingua), Fliegentod (Mosca morta), insieme al bidello Habebald (Trova presto) e agli altri personaggi adulti, dal Pastore Kahlbauch (Pancia pelata) al medico di famiglia Dr. Von Brausepulver (Polverina effervescente). La tragedia si mischia alla farsa nel testo di Wedekind, le scene comiche si alternano a quelle drammatiche e sfumano nel metafisico nella scena finale, quando Melchior incontra il personaggio del Signore mascherato e il fantasma dell’amico suicida Moritz.

Una nuova traduzione

La nuova produzione con la regia di Marco Bernardi, si avvale per i 19 quadri che compongono il dramma espressionista di Frank Wedekind, di una traduzione inedita, commissionata dal Teatro stabile di Bolzano al drammaturgo Roberto Cavosi. Il testo è pubblicato ora in italiano dalla casa editrice Cue Press, dedicata alle arti dello spettacolo [Frank Wedekind, Risveglio di Primavera, ed. Cue Press 2025, € 22,99].

La messa in scena di Risveglio di primavera e la nuova pubblicazione del testo tradotto in italiano sono un progetto di lunga data di Marco Bernardi, di cui il regista amava discutere «nei nostri incontri abituali al caffè dei cinesi in centro a Bolzano», come ha ricordato alla presentazione del libro, con l’amico e appassionato storico del teatro Massimo Bertoldi, prematuramente scomparso pochi mesi fa. Il volume contiene, oltre al testo tradotto da Roberto Cavosi, la prefazione dal titolo L’età ingrata di Marco Bernardi, che ha curato la regia e l’adattamento teatrale dello spettacolo co-prodotto dal Teatro stabile di Bolzano, e un prezioso contributo di Massimo Bertoldi, alla cui memoria il libro è anche dedicato, che ricostruisce minuziosamente la storia della prima scandalosa messa in scena del dramma di Wedekind nel novembre 1906 ai Kammerspiele di Berlino.

Un allestimento originale

In un palco privo o solo scarsamente dotato di elementi scenografici, nello spazio teatrale completamente nero emergono e agiscono via via, scena per scena i diversi personaggi del dramma, quasi fossero fotogrammi impressi su una pellicola. La scelta registica di Marco Bernardi, nella nuova messa in scena di Risveglio di primavera al Teatro studio di Bolzano, risolve il rompicapo drammaturgico della veloce successione dei quadri scenici nel testo di Wedekind, evidenziandone la struttura simile a quella del montaggio cinematografico. E avvicina il testo, già allora rivoluzionario, anche formalmente a un linguaggio moderno contemporaneo. Scelta di fondo, quella di Bernardi di vedere e accentuare i punti comuni e universali delle problematiche esistenziali che accomunano i giovani in tutte le epoche, più che riesumare Wedekind come una semplice testimonianza del momento storico in cui l’autore è vissuto. In questo senso è da leggere anche la colonna sonora dello spettacolo. Il regista Bernardi ha selezionato i brani di musica che introducono le varie scene, scegliendo canzoni di gruppi e singoli interpreti, da Ghali a Olly, Madame o Sfera Ebbasta e altri, ascoltati nei nostri giorni dai giovanissimi. Qualcosa di più che una strategia per avvicinare anche i giovanissimi al teatro, una vicinanza di fondo e un interesse per il mondo giovanile che Marco Bernardi ha dimostrato sempre, e nel caso di questa messa in scena è anche una voluta vicinanza e empatia per l’autore Wedekind, anarcoide e anticonvenzionale nell’opera e nella vita. Un’altra soluzione registica originale rende evidente la distanza insormontabile che divide i giovani dalla generazione dei genitori. Bernardi sottolinea il conflitto generazionale rivestendo tutti i personaggi adulti di maschere che ne coprono il viso e li rendono grotteschi, richiamando l’aspetto farsesco del dramma rivendicato dallo stesso Wedekind. L’ispirazione, nata dalla scoperta di Bernardi del pittore belga James Ensor, un artista contemporaneo di Wedekind che dipinge nei suoi quadri maschere altrettanto misteriose e grottesche, è forse l’elemento più efficace dell’allestimento. La recitazione attraverso le maschere ‘smaschera’ paradossalmente l’ipocrisia del mondo adulto e la falsa morale che le istituzioni vogliono imporre ai giovani, che restano invece senza maschera. Applausi agli interpreti.

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10 Marzo 2025

Cue Press, il coraggio del digitale su un palcoscenico per pochi

Valentina Grignoli, «Rsi — Radiotelevisione Svizzera»

Un progetto visionario ma con i piedi ben saldati per terra. In quella giungla senza pietà che è il panorama editoriale, su un terreno di nicchia e per pochi come può essere il mondo del teatro, nasce, cresce, resiste e vince Cue Press, la prima casa editrice digital first interamente dedicata alle arti dello spettacolo. Fondatore è Mattia Visani, attore e regista dello Stabile di Torino, ultimo autore della Ubulibri, che dalle ceneri dell’opera di Franco Quadri fa rinascere questa nuova fenice, a Bologna.

Cue nel mondo teatrale anglosassone, dove il teatro è un’industria florida a differenza di quanto avviene alle nostre latitudini, è la battuta d’ingresso, il segnale d’entrata, il suggerimento. Da qui partiamo, da un’imbeccata, per raccontare il viaggio di Visani, che grazie alla grande cura per il suo prodotto, all’attenzione per le relazioni umane con gli autori prima che per i libri («siamo come dei bambini che si scambiano figurine insomma»), e grazie al fatto di aver saputo scommettere su nuovi formati e vecchi maestri al contempo, è riuscito a creare una casa editrice indipendente che a oggi conta circa 400 titoli all’attivo, con una settantina di proposte ogni anno, e un vastissimo catalogo articolato da ricche collane.

E qual è questo segnale d’entrata?

«Una coincidenza in questo caso fatale! E lo dico senza la possibilità di essere smentito o sembrare di voler raccontare la vita dei santi. – esclama Mattia Visani. Il giorno stesso in cui uscì il mio libro per Ubu, Franco Quadri è stato male e poi è deceduto». E coi lui la casa editrice, quel capolavoro che ci ha fatto conoscere i migliori testi della drammaturgia contemporanea. «Questo era il nuovo contesto, la principale casa editrice italiana dedicata al cinema e teatro non esisteva più, e allo stesso tempo si iniziavano a immaginare modelli nuovi editoria. Ubu stava in piedi grazie all’autorevolezza del suo editore, tutto girava intorno a lui. Non c’era un modello di business che potesse supportare un progetto di quel tipo. Nessuno poteva colmare il gap che la sua perdita lasciava nel progetto, anche finanziariamente». Siamo alla fine del 2012, i nuovi modelli editoriali puntano al mondo digitale, con successi e insuccessi, e case editrici che continuamente nascono e muoiono, e il mondo della formazione editoriale spinge verso il digitale come promessa di un futuro radioso nell’editoria. Da quella formazione viene l’amico che con Mattia, allora regista allo stabile di Torino, decide di aprirne una. Un’idea nata un giorno passeggiando per le vie di Milano, «quasi un caso indotto dalle circostanze, mai avrei pensato di fare l’editore! Un progetto ben delineato, un modello preciso di business e nessun soldo per iniziare l’attività!». I riscontri sono ottimi in partenza, fioccano premi, il Nico Garrone nel 2015, il premio Hystrio Altre Muse l’anno dopo, la nomina agli Ubu, il Premio della critica dell’Associazione nazionale dei critici di teatro nel 2023, per citarne alcuni. «Un giorno addirittura ne abbiamo vinti due! Questo ci ha fatto capire che l’idea era buona e ci ha spronato ad andare avanti. Dopo quindi anni siamo ancora qui, con inediti di Samuel Beckett e l’opera del premio Nobel Jon Fosse!». Il digitale è stata la scommessa per il successo? No, o meglio, non solo: «Noi cerchiamo di produrre opere che abbiamo un valore intrinseco. A prescindere dal fatto che siano vecchie o nuove, italiane o straniere».

Mattia Visani si occupa a tempo pieno della Cue Press. Ma alle parole è affiancato un preciso progetto grafico: «e questo ci lega molto all’idea originaria di Ubu libri. Fin da subito abbiamo pensato che per poterci distinguere avremmo dovuto avere un’identità, un prodotto riconoscibile e commercializzabile, un progetto grafico all’avanguardia, nuovo definito e curato in ogni dettaglio».
Pare che addirittura James Naramore, autore di Acting in the cinema, abbia dichiarato che la versione italiana del suo libro, tradotta recentemente da Cue Press, fosse la più bella pubblicata finora.

La doppia anima di queste edizioni risiede nel voler raccontare il presente e mantenere vivo il passato. Sia con il digitale che con il cartaceo, «sia per raccontare la necessità di immediatezza produttiva come gancio al presente stesso, che con il recupero di testi di difficile reperibilità fuori catalogo e di immenso valore perché fuori dalle logiche del grande monopolio editoriale italiano. Noi collaboriamo con gli autori, gli artisti, le compagnie, i festival, il cinema e le università. Questo è l’elemento che più mi piace del mio lavoro, il contatto umano. È bello incontrare persone con cui scambiare idee e gusti, con cui divertirsi, condividere interessi».

I libri sono stampati e distribuiti ovunque nella rete libraria, sia quella fisica che digitale, e in più ci sono gli Interactive e-book, «libri interattivi per garantire anche sullo schermo tutta la qualità di un alto standard editoriale, grafico e tipografico».

Le collane spaziano da contemporaneo, classici e teorie, dai materiali (inediti) ai testi. Da Mejerklold a Emanuele Aldovrandi, da Strehler a Sergio Blanco, «ora stiamo traducendo l’opera omina di André Bazin, Giorgio Manganelli, e in uscita c’è un’intervista a Fellini. Ma anche il libro intervista a Ken Loach e la Storia e tecnica della tecnologia cinematografica». Senza dimenticare Lattuada, una nuova traduzione a cura dello Stabile di Bolzano del Risveglio di Primavera di Wedekin, e un libro su Aphra Behn, a cura del Teatro Stabile di Parma. Collaborazioni, visioni, intuizioni, che portano alla ribalta la creatività, la genialità e la ricchezza di un mondo spesso creduto inaccessibile, dai lettori, dagli studiosi e persino dagli autori.

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Michael mann
26 Febbraio 2025

Michael Mann a 360 voci

«Hollywood Party — Rai Radio 3»

Mannhunters. Michael Mann a 360 voci, il grande regista statunitense visto da Alessandro Borri. Heat, Collateral, Manhunter sono solo alcuni titoli di un cineasta che cambiato il modo di intendere il cinema poliziesco, facendone un ibrido di coolness e realismo e influenzando molti autori contemporanei.

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Salveremo il mondo prima dell'alba
19 Febbraio 2025

Disperati e falliti alla ricerca di un nuovo mondo non inquinato da droga e corruzione. Non si fugge da se stessi

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Carrozzeria Orfeo insieme a Teatro Sotterraneo e Kepler 452 sono ormai dei collettivi che si sono imposti all’attenzione della critica e del pubblico per un loro modo di concepire i testi e il linguaggio scenico.

Il mondo a cui attingono è rigorosamente contemporaneo che cercano di rappresentare con un linguaggio brillante, dinamico, come del resto lo è la recitazione, un linguaggio che guarda alla cronaca, senza essere cronachistico.

Debbo confessare che non sempre ricordo i titoli degli spettacoli, a volte troppo lunghi, che rispecchiano la prolissità delle trame che andrebbe un po’ arginata. Quelli di Carrozzeria Orfeo, per la loro continua circuitazione nei teatri italiani, si sono imposti alla nostra memoria anche perché titoli, come Cus Cus Klan, Miracoli metropolitani, Thanks for vaselina, essendo stati pubblicati da Cue Press, possono essere anche letti, benché il teatro non si legga, ma si vede.

Salveremo il mondo, che ho visto al Teatro Masini di Faenza, completamente esaurito, appartiene all’ultima tappa di un percorso della Compagnia che evidenzia uno stile di recitazione e di linguaggio immediatamente riferibile alla idea di teatro che va coltivando, attento alla realtà, senza essere realistico, dato che Gabriele Di Luca crea dei personaggi presi dalla nostra quotidianità sociale e li trasferisce in una dimensione universale. Egli ha immaginato, come un luogo identitario, una clinica di lusso, che non si trova sulla terra, ma nello spazio, su un satellite che lo spettatore vede, come un pianeta azzurro, attraverso un oblò, dove troviamo una umanità allo sbando che ha raggiunto un benessere economico che certamente non basta per essere felici, perché tutti hanno delle dipendenze dalle quali cercano di purificarsi. Non nascondono la loro ricchezza, ma non riescono neanche a nascondere le loro miserie, ben visibili nei comportamenti smodati. Vi troviamo un industriale di farine animali, Sergio Romano, un suo compagno hippy omosessuale, Roberto Serpi, un ricco autore di Fake News, Ivan Zerbinati, un servitore bengalese, Sebastiano Bronzato, una giovane ragazza in un instabile equilibrio a causa di psicofarmaci, Alice Giroldini, un coach, Massimiliano Setti, personaggi che incontriamo giornalmente, in cerca non solo di fare soldi in tutti i modi, leciti e illeciti, ma anche in cerca di salvezza in un altro pianeta non inquinato dal malaffare, dalla corruzione, dalla droga, dalla depressione, dal sesso.

Di Luca porta in scena il fallimento di una generazione, suddita della globalizzazione e del consumismo, alla ricerca di un luogo immaginario o utopistico dove potersi ritrovare, in assenza di affettività, sottoposta alla diversificazione delle patologie. Quanto accade sul palcoscenico rimanda a quanto accade a ciascuno di noi, quando smarrisce la coscienza dell’Essere, per salvaguardare quella dell’Esserci a tutti i costi.

Le intenzioni di Di Luca non sono più quelle di sopprimere le disuguaglianze, visibili nei vari quartieri metropolitani, con i loro bar di periferia, tanto che i suoi personaggi non attraversano la vita, ma ne sono attraversati, con gli eccessi che si alternano con le contraddizioni che non sono quelle di raccontare le loro vite, magari con l’utilizzo del Teatro di Narrazione, quanto quelle di accostarsi alla vita, restituendo al teatro il suo impegno sociale e politico, ricorrendo a una comicità, non sempre lineare, che sfrutta le varie forme della risata, puntando sul grottesco della recitazione, col ricorso, a volte, al turpiloquio e all’alternanza del linguaggio alto con quello basso, quello apparentemente banale, con quello riflessivo.

Sulla scena non troviamo più i fantomatici animali da bar, ma dei ricchi di oggi che vivono la loro fragilità accanto alla decostruzione del proprio essere, decostruzione, non solo esistenziale, perché corrisponde a quella linguistica e a quella frammentaria delle citazioni presenti nel testo.

Successo assicurato.

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I cinecomics senza la Marvel: un’insolita visione

Abbiamo intervistato Alessandro Mastandrea, autore di un interessante saggio sui cinecomics, caratterizzato da precise scelte e punti di vista, che approfondiremo con lo stesso autore. Il

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10 Marzo 2025

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6 Febbraio 2025

Sul mio teatro: disagio e DISintegrazione, Diciass...

Valeria Ottolenghi, «Sipario»

Tre volumi Cue che dialogano tra loro, non semplicemente perché sono dello stesso autore, Rafael Spregelburd, ma per l’intima energia che intreccia molteplici fili interni, tra teoria e pratica, riflessioni filosofiche e quotidianità, accogliendo esperienze e aneddoti, in una dialettica che sempre –;anche per il teatro, a cui sempre l’artista argentino ritorna – preferisce la […]
2 Febbraio 2025

Teatro in un volume le storie teatrali di Matteo C...

«La Piazza Avvenimenti»

I testi della produzione teatrale di Matteo Cavezzali, dal 2009 ad oggi, sono raccolti in un volume appena uscito dal titolo Teatro (Cue Press). Dalla quarta di copertina «Matteo Cavezzali, uno dei più interessanti autori contemporanei italiani. Tra intensi monologhi, grottesche parodie e audaci riscritture di classici da Shakespeare a Beckett, i personaggi di Cavezzali, […]
16 Gennaio 2025

Sesso, Sordi e ortaggi. Fellini

Federico Pontiggia, «il Fatto Quotidiano»

Dalla fellatio d’infanzia alla melanzana erotica (e indigesta), dalle catacombe di Romaall’Oscar cimiteriale, dai seni della Loren alla Masina «poverina»: tutte le prime volte di Fellini. Vengono da Raccontando di me, ovvero Federico Fellini conversa con CostanzoCostantini, che pubblicato in Francia nel 1996 torna in libreria per i tipi di Cue Press. Tra il maestro […]
15 Gennaio 2025

Pubblicato da Cue Press Tutto il teatro di Anton P...

Valeria Ottolenghi, «Sipario»

Intanto grazie! Grazie per questo bel volumone con tutto il teatro di Čechov: il ringraziamento innanzi tutto a Mattia Visani, direttore della casa editrice Cue Press, e a Fausto Malcovati e Roberta Arcelloni che l’hanno curato con tanta competenza. Quante volte capita di andare a cercare questo o quel titolo di Čechov tra i nostri libri? Passando subito lo sguardo […]
30 Dicembre 2024

Capire il teatro? Missione possibile

Nicola Arrigoni, «Sipario»

Si crede che un’azione di diffusione e ri-considerazione dei linguaggi scenici parta anche e soprattutto dagli strumenti che si possono avere per leggere lo spettacolo dal vivo. Ecco allora che l’azione di una casa editrice può diventare protagonista di una necessità: non tanto e non solo fare il punto sugli studi delle arti performative, ma […]
29 Dicembre 2024

Altro che epoca senza maestri: in teatro esistono...

Marco De Marinis, «il Fatto Quotidiano»

È diventata ormai un luogo comune, quasi sempre soffuso di passatismo nostalgico, la lagnanza sul fatto di vivere in un’epoca ‘senza maestri’. Ma è davvero così? Molto dipende da cosa si intende per maestri e da dove andiamo a cercarli. Che si viva, da tempo, in un’età post-ideologica, orfana delle grandi narrazioni novecentesche, è un dato […]
12 Dicembre 2024

La vita di Dostoevskij

Giuseppe Costigliola, «Eurocomunicazione»

«L’incontro con uno scrittore è sempre una verifica del proprio sistema di vita»: apre così Fausto Malcovati la premessa al suo Un’idea di Dostoevskij (Cue Press, pp. 128), spigliata e conchiusa guida introduttiva alla biografia e alle opere del grande romanziere russo. Concetto fondamentale, valido non soltanto per chi, come lui, è apprezzato docente di lingua e letteratura russa, […]
5 Dicembre 2024

Cosa vuol dire fare il regista? Ce lo dice Fellini...

Davide Dal Sasso, «Artribune»

Di tutta quella meravigliosa impresa che solitamente chiamiamo ‘fare arte’, ne sappiamo davvero poco. Va così perché dalle opere difficilmente possiamo risalire con agilità a quello che hanno fatto le artiste e gli artisti per crearle. Avere una idea dei processi e delle attività che determinano la realizzazione di dipinti o sculture, di pièce di teatro […]
1 Dicembre 2024

Combattè ogni forma di naturalismo, battendosi pe...

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Ci siamo più volte occupati, sulle pagine di questo giornale, di Gordon Craig, oggi aggiungiamo un nuovo tassello, in occasione della pubblicazione di: L’arte del teatro. Il mio teatro, a cura di Ferruccio Marotti, autore anche di una Premessa e di un Itinerario che ne ricostruisce la vita professionale, essendo stato egli, il primo a […]
25 Novembre 2024

Gordon Craig, e la sua Supermarionetta. La formula...

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Ci siamo più volte occupati, sulle pagine di questo giornale, di Gordon Craig, oggi aggiungiamo un nuovo tassello, in occasione della pubblicazione di L’arte del teatro. Il mio teatro, a cura di Ferruccio Marotti, autore anche di una Premessa e di un Itinerario che ne ricostruisce la vita professionale, essendo stato egli il primo a […]
7 Novembre 2024

Molto più che Un’idea di Dostoevskij, un saggio...

Adele Porzia, «ClassiCult.it»

Ricordo il mio primissimo libro di letteratura russa. Ero al liceo e, in un negozio dell’usato, avevo trovato un’edizione sfatta, senza copertina, con le pagine macchiate di caffè. Era un libro talmente malmesso che il proprietario me lo regalò. E, così, con Il maestro e Margheritadi Michail Afanas’evič Bulgakov me ne tornai a casa. Lo lessi […]
27 Ottobre 2024

Un sorso di terra agli affamati

Alessandra Iadicicco, «Corriere della Sera»

Alzando lo sguardo non si vede che acqua, a perdita d’occhio. È il mare, ma la sua immensa distesa azzurra non suscita quiete, desiderio, ristoro, voglia di partire o di tuffarsi e nuotare. Ha divorato la terra, è un emblema di morte. Ci sono i pesci dentro, certo, ma è vietato mangiarli, perfino nominarli, come […]
30 Settembre 2024

I cinecomics senza la Marvel: un’insolita vision...

Paolo Garrone, «Lo Spazio Bianco»

Abbiamo intervistato Alessandro Mastandrea, autore di un interessante saggio sui cinecomics, caratterizzato da precise scelte e punti di vista, che approfondiremo con lo stesso autore. Il libro è un’opera che si aggiunge a una bibliografia – in espansione – sui film tratti dai fumetti, arricchendola di alcuni spunti di riflessione non banali. In questo volume l’attenzione […]
26 Agosto 2024

Alexander Moissi. Grande attore europeo (1879-1935...

Francesca Simoncini, «Drammaturgia»

Il libro di Massimo Bertoldi Alexander Moissi. Grande attore europeo (1879-1935), dedicato alla biografia artistica di Alessandro Moissi, ha il grande merito di colmare, con profondità e rigore storiografico, una lacuna della storia del teatro. Attore ‘scomodo’, difficilmente inquadrabile, ritenuto tra i più grandi dai suoi contemporanei, Moissi non era stato finora oggetto di un completo ed esaustivo […]
20 Agosto 2024

L’età dell’innocenza

Stefano Locati, «Film TV», XXXII-34

Il fiume del cinema «In quasi vent’anni in cui sono stato ospite di svariate manifestazioni all’estero è maturata in me una nuova consapevolezza, ovvero che la storia del cinema non è ancora finita. Ben cento anni di produzioni cinematografiche mi hanno preceduto, e quel grande fiume — se così mi è concesso definirlo — è […]
22 Luglio 2024

Le teorie teatrali: un campo minato, se i vari app...

Andrea Bisicchia, «lo Spettacoliere»

Nel 1988, l’Editore Zanichelli pubblicò di Patrice Pavis Dizionario del teatro, a cura di Paolo Bosisio, con cui l’autore cercava di dare delle risposte non solo a chi lavorava in ambito teatrale, ma anche al frequentatore di teatro. Si distingueva da altri dizionari per una qualità scientifica del materiale trattato che si estendeva, in particolare, […]
11 Luglio 2024

Béla Balázs, dall’arte del teatro alla guerrig...

Ilona Fried, «Criticai Lapok», XXXIII-5-6

Eugenia Casini Ropa è una delle più autorevoli studiose dell’arte della danza in Italia, fondatrice e docente del primo corso di storia della danza e del mimo, istituito nel 1992 al DAMS di Bologna. Nel corso delle sue ricerche, che riguardano più in generale la storia del teatro, si è dedicata anche a quella forma […]

La voce dei protagonisti

Storie e parole dei grandi maestri dello spettacolo

Cue Press è lieta di presentare la sua serie esclusiva di pubblicazioni, un tributo immersivo ai grandi protagonisti del cinema e del teatro. Queste opere rappresentano una collezione preziosa di interviste e scritti di prima mano direttamente dalle menti e dai cuori degli artisti che hanno plasmato l’industria dello spettacolo nel corso dei decenni. Ogni […]