Logbook

Approfondimenti, interviste, recensioni e cultura: il meglio dell’editoria e delle arti da leggere, guardare e ascoltare.

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1 Novembre 2022

L’attore e il volto

«Hystrio», XXXV-4

Il volume raccoglie una selezione di saggi del critico europeo Leif Zern, mescolando ricordi autobiografici, recensioni a spettacoli teatrali, piccoli ritratti del mondo del cinema, analisi teoriche sull’arte attoriale. Da Ingmar Bergman a Lars Norén, fino ad autentici pilastri della tradizione scenica come Louis Jouvet, lo sguardo di Zern si sofferma sulla recitazione, l’immedesimazione dell’attore, in un percorso dove «le emozioni non sono innate ma conquistate con un processo di appropriazione».

Vittorio gassman
1 Novembre 2022

Gassman. Oltre il palcoscenico

Pierfrancesco Giannangeli, «Hystrio», XXXV-4

Un Gassman a tuttotondo. Vittorio, attore poliedrico capace di cavalcare i mezzi che la sua epoca gli offre, esce vincitore grazie al ritratto che ne fa Arianna Frattali, nel senso che il suo essere attore totale – dalla voce straordinaria e dalla fisicità imponente – gli consente di dominare la comunicazione dei suoi anni. E sì, perché l’attore è colui che comunica per eccellenza, anche più di altri professionisti, poiché la sua arte è prima di tutto relazione con il pubblico, da quello più affezionato a quello occasionale.
Nel caso di Vittorio Gassman vale molto più il primo del secondo, in quanto è stato l’artista forse più conosciuto e amato del suo tempo. La studiosa ci offre un taglio preciso, costruito su alcuni saggi (un mix tra quelli già pubblicati e gli inediti) che colgono i momenti essenziali, di svolta, della carriera lanciata di Gassman attore di teatro nel momento in cui si affermano il cinema e la televisione, senza dimenticare il rapporto con la stampa. A uscirne è il profilo di un artista curioso e generoso, che amplifica il senso dello stare in scena anche oltre il palcoscenico, facendo tesoro di una tradizione antica che lui proietta, senza risparmiarsi, verso il mondo nuovo.

1 Novembre 2022

Beckett fra le righe. Appunti di lavoro

Pierfrancesco Giannangeli, «Hystrio», XXXV-4

Sentite questa: «Il teatro per me è prima di tutto svago dal lavoro sulla narrativa. Abbiamo a che fare con un certo spazio e con persone in quello spazio. Questo è rilassante». La frase la pronunciò Samuel Beckett parlando con Michael Haerdter, suo assistente per la messinscena di Finale di partita allo Schiller Theater di Berlino, nel settembre del 1967. A riportarla è Stanley E. Gontarski nell’introduzione alla pubblicazione del quaderno di regia dedicato appunto al testo e alla sua revisione da parte dell’autore, in versione italiana meritoriamente pubblicato dall’editore Cue Press. Lasciando da parte il piacere del dettaglio che tale revisione produce, insieme alla pura emozione suscitata dal poter leggere gli appunti nella scrittura di Beckett – cose preziose che si devono lasciare alla relazione personale del lettore con il libro – bastano queste parole per capire come anche un autore considerato, a buon diritto, uno scrittore di letteratura, comprenda la necessità di un’altra grammatica quando si tratta di uno spettacolo. Insomma, anche Beckett venne rapito dalle necessità della «scrittura scenica», indispensabile sviluppo della «scrittura drammaturgica», poiché chi scrive per il teatro, o quando si scrive per il teatro, lo si fa per essere rappresentati piuttosto che letti. In precedenza era accaduto a un altro immenso autore, il nostro Pirandello, che a contatto con gli attori, in verità più Ruggeri e Melato (con sullo sfondo Talli) che Musco, comprese che quella che si parla sul palcoscenico è un’altra lingua da quella che si scrive sulla carta. In più, Beckett nella sua dichiarazione sottolinea per ben due volte la parola «spazio». Il segreto sta proprio lì, nell’intuizione di ciò che rende possibile la messinscena e dunque il teatro: lo spazio, dove azione e movimento producono il tempo. Il luogo dove tutto diviene grazie alla determinante presenza dell’attore, insieme al respiro dello spettatore.

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1 Novembre 2022

Nel laboratorio creativo di Koltès

Diego Vincenti, «Hystrio», XXXV-4

«Non desidero che una cosa: essere capace di correre dei rischi», scrive Koltès nel marzo del 1968. Prima della rivoluzione. A neanche vent’anni. E proprio l’età acerba è al cuore della conversazione a distanza con la madre, per tutta la vita confidente privilegiata. È in quei giorni che il drammaturgo decide di dedicarsi al teatro. Passaggio fondamentale. Ma solo uno fra i tanti. Volume densissimo infatti quello di Cue Press, che porta in Italia il progetto delle Éditions de Minuit, qui con la preziosa curatela di Stefano Casi. Una raccolta di lettere, biglietti d’auguri, telegrammi, ringraziamenti. C’è di tutto. Ad alimentare una certa filologia mitizzante. L’aria bohémien. Ma con l’andare del tempo, mentre si spulcia nei cassetti, la prosa si allunga. E così i pensieri. Emerge l’uomo. Insieme a riflessioni che diverranno centrali nella sua produzione. Si pensi solo all’impossibilità della parola di fronte alle profondità del sentire. Anche se mai Koltès abbandonerà quell’irrequietezza così identitaria, sintetizzata nel 1981 in una cartolina da New York: «Qui abbondano le persone della mia razza, caratterizzate da: inquietudine (fondamentale), disperazione assoluta (senza tristezza) e gusto del piacere».

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20 Ottobre 2022

Dedicato a chi crede che scrivere un monologo sia facile. Intervista di Marina Cappa a Josep Maria Miró

Marina Cappa, «Tortuga Magazine»

Qualche giorno fa, mentre stava sbarcando dall’aereo a Firenze, una telefonata gli ha annunciato che aveva vinto ventimila euro. I soldi contano, anche per gli scrittori. Ma ben di più pesa stavolta il valore artistico di questo Premio nazionale della letteratura drammatica 2022.

Il ministero della Cultura spagnola lo ha assegnato a Josep Maria Miró, scegliendolo fra diverse centinaia di autori che avevano pubblicato nell’ultimo anno un testo di drammaturgia.

Il suo era Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti. Qualche mese fa – al Teatro Rifredi di Firenze, in anteprima mondiale – Maddalena Crippa diede appunto «corpo» a questo «testo per unico interprete (a sette voci)», che ricostruisce una morte e un incontro.

Adesso Miró è tornato a Firenze, sempre al Teatro di Rifredi diretto da Giancarlo Mordini, in occasione della presentazione del suo ultimo spettacolo: L’amico ritrovato, adattamento del libro di Fred Uhlman che in passato era stato sceneggiato per il cinema da Harold Pinter.

Per l’occasione ha partecipato anche alla presentazione del nuovo libro in cui Fabio Francione (per la serie Scheiwiller Sguardi sul teatro contemporaneo) intervista 16 protagonisti del teatro contemporaneo, fra cui appunto lui.

L’autore è catalano e i suoi testi sono tradotti in diverse lingue, compreso lo spagnolo. Ha 45 anni, scrive (fra i suoi lavori più noti, Il principio di Archimede e Nerium Park) ma dirige anche, regista di opere non necessariamente sue.

Attivo fuori dalle scene, Josep Maria ha raccontato di essere pure andato a un convegno di Vox per fotografare i partecipanti, che si sono subito tolti la maglietta per esporre toraci e muscoli. Non che gli uomini politici siano meno narcisi dei loro seguaci, è convinto. Come ha spesso osservato: la loro presenza nelle sale cinematografiche o teatrali si nota solo quando fuori li aspettano un red carpet, fotografi e televisioni, e dichiarazioni a uso auto-promozionale.

Restiamo in tema: per lei, fare teatro è fare politica?

Tutto è politica, vivere è politica. Il teatro lo è perché è un incontro di spettatori che condividono uno sguardo sul mondo, con posizioni uguali oppure diverse, e l’occasione di mettere in dubbio le proprie posizioni e il sistema intero in cui vivono. In teatro noi rinnoviamo il nostro patto di convivenza e i nostri principi. Anche quando si tratta di spettacoli di puro intrattenimento. Pure questa è un punto di vista politico, anche se conservatore.

Che cosa vede quando guarda oggi all’Italia?

Quello che succede è preoccupante, non solo in Italia ma anche nel Nord Europa, in Francia, in Spagna: mi tocca, non è qualcosa di esterno a me. Oggi alcuni partiti che sono ai margini della democrazia sono usciti dall’armadio, non si vergognano di mostrarsi. Ma è inquietante anche che altri partiti democratici, o che si dicono tali, abbiano permesso loro l’ingresso nelle istituzioni, attraverso patti, accordi. Senza dimenticare il quarto potere, la stampa, che ha fatto loro la campagna.

Il ruolo dell’artista qual è, allora?

Deve essere cronista del suo tempo, raccontarne la complessità, generare riflessioni, dubbi. Mai dogmi, però. Un artista può esprimersi in migliaia di modi diversi, ma l’importante è farlo sempre con una visione etica.

Lei in alcuni casi scrive testi che saranno diretti da altri, a volte invece è regista di se stesso. Che differenza c’è nell’approccio? Non ha paura di essere «tradito» o di «tradire»?

Ho avuto molte esperienze, felici e meno. Quando affido un mio testo a qualcuno sottoscrivo con lui un patto di fiducia, ed è vero che negli ultimi anni sono diventato un po’ geloso, cerco maggiori garanzie. Quando invece dirigo il lavoro di un altro – e ne ho fatti diversi – mi metto al servizio di quel materiale e posso farlo solo se ci credo, anzi dopo un po’ finisce che credo di averlo scritto io quel testo. In ogni caso, io scrivo il teatro che mi piacerebbe vedere, tradimento per me significherebbe scrivere pensando solo alla reazione del pubblico.

Non vorrebbe dedicarsi alla narrativa?

Da tempo lo vorrei fare, ma ho sempre molti dubbi su me stesso, non so se ne sono capace. Ma prima o poi verrà il momento. Il corpo più bello che si sia mai visto da queste parti è il mio primo monologo, un editore lo ha letto e ha detto che sarei pronto.

Non aveva mai scritto monologhi prima?

No, spesso si crede che questa sia la forma teatrale più semplice, ma non è così. Lo puoi scrivere dopo che hai affinato gli strumenti di scrittura, le idee. C’è un’età per ogni cosa, come per gli attori: non puoi fare Re Lear o Giorni felici se non hai una certa esperienza alle spalle. Uno dei vantaggi degli anni che avanzano è che si perde l’ansia di fare tutto subito, di ottenere risultati: adesso prendo molto più sul serio ciò che faccio e sono più cosciente del perché scrivo.

Che cosa la spaventa di più nel provare la narrativa: la storia, i dialoghi?

Come dico sempre ai miei corsi di Drammaturgia, il teatro è un genere molto complesso; quando lo scrivi devi sempre tenere in considerazione la teatralità. Però poi lo monti su un palco, assieme ad altre persone e scopri la sua efficacia, sperimenti, puoi togliere battute, correggere qualcosa con gli attori: si sperimenta mentre lo fai e c’è un lavoro di équipe. Nella narrativa tu sei solo, il riscontro te lo dà solo l’editore, che è un altro mondo ed è un vincolo molto importante, tante carriere letterarie sono dipese da lui. Quando il libro è finito, e già questo mi sembra richieda molto più tempo, si pubblica: l’esposizione al pubblico è un salto nel buio. Ma ammetto che sono tutte scuse per ritardare qualcosa che finirò per fare.

I premi, come questo che ha appena vinto, aiutano?

Fanno piacere. Ma – premi o non premi, successo o non successo – ogni volta che ti metti a scrivere una cosa nuova, ricominci da zero. Lo spettatore in teatro non vedrà le tue statuette e gli applausi che hai ricevuto: vedrà quello spettacolo nuovo, e lo giudicherà. Questo è meraviglioso e terribile al tempo stesso. Anche molto adrenalinico, perché in teatro l’esperienza non è garanzia di nulla. Ogni volta sei messo alla prova. E ti devi confrontare non solo con gli altri drammaturghi, ma anche con te stesso, con quello che hai fatto prima e che ti potrà essere giocato contro.

Il suo rapporto con il Teatro di Rifredi dura da tempo…

C’è un rapporto umano e artistico straordinario. Anche con gli spettatori. Rifredi ha creato un pubblico fedele, ha costruito un’identità in cui lo spettatore si riconosce. Come succede con le librerie. Puoi averne una grossa, dove il commesso impara due cose e ti suggerisce l’ultimo romanzo, quello che piace a tutti, vende molto… Dall’altra parte, c’è il negozio magari piccolino dove il libraio ti consiglia l’opera giusta proprio per te. Questo è il Teatro di Rifredi.

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19 Ottobre 2022

I dieci anni di Cue Press al fianco di teatro e cinema

Nicola Arrigoni, «Hystrio»

Scommettere sull’editoria teatrale è un vero e proprio azzardo. A dieci anni di distanza dalla nascita della casa editrice Cue Press, la scommessa sembra essere vinta, ma con tutte le cautele che impongono il presente e soprattutto il futuro. «A pensarci bene non avrei mai immaginato di festeggiare il decennale di Cue Press, che per me rimane una bel- la avventura e una scommessa tutt’ora – afferma Mattia Visani –. L’idea iniziale è stata quella di lavorare su una casa editrice digita- le, in cui il prodotto editoriale fosse soprattutto online, uno sviluppo che credo abbia ancora ampi margini».

Nelle parole di Visani c’è la consapevolezza che, dopo il lockdown dei teatri a causa del Covid, si prepari una nuova ondata di crisi: «Malgrado ciò siamo in espansione, la nostra politica editoriale piace, forse perché si costruisce con le relazioni con gli artisti e i teatri, senza dimenticare la necessità di coltivare la memoria degli studi che hanno fatto la storia della cultura teatrale, non solo in Italia – continua l’editore -. Ad esempio, stiamo lavorando per dare alle stampe la riedizione del saggio di Ludovico Zorzi, Il teatro e la città, ormai introvabile. Abbiamo fatto così per altri volumi o per alcuni autori. Si è trattato di un modo per rendere disponibili saggi e testi ormai irreperibili». Al di là della necessità di ridare vita, e quindi mercato, a libri di saggistica teatrale e cinematografica, c’è l’attenzione alla drammaturgia contemporanea italiana e straniera, e il progetto Quaderni di regia e testi riveduti di Samuel Beckett ne è un esempio. «Lavorare sui quaderni di Samuel Beckett è stato ed è il nostro più grande impegno editoriale soprattutto per la mole di materiali – afferma Visani –. Credo che sia la più importante novità editoriale nell’ambito delle pubblicazioni legate allo spettacolo, insieme al volume Il teatro postdrammatico di Hans-Thies Lehmann. Le due operazioni editoriali per noi hanno avuto un valore non solo imprenditoriale, ma anche simbolico: hanno dimostrato la vivacità di un’editoria di nicchia, ma che sa essere molto ricettiva e attiva nel proporre e nel germinare idee».

In questo senso si lega anche l’attenzione che nell’ultimo periodo la casa editrice sta dedicando al mondo del cinema: «Dall’autobiografia di Vittorio Gassman, al saggio di Goffredo Fofi e Gianni Volpi dedicato a Vittorio De Sica, piuttosto che a quello di Leif Zern, Vedere Bergman, o al testo di Renato Palazzi, Esotici, eroti- ci, psicotici. Il peggio degli anni Settanta in 120 film, il cinema è diventato un settore importante per Cue Press che sta dando grande soddisfazione – continua Visani –. Detto questo, l’attenzione ai testi teatrali e alla pubblicazione di drammaturgie legate a nuove produzioni è fondamentale e soprattutto è il bello di questo mestiere. Il mettersi a disposizione di attori e teatri per fermare su pagina scritta esperienze, estetiche, testi e drammaturgie dà il senso del nostro lavoro, sottrae il teatro all’effimero, ci permette di agire non solo come casa editrice, ma anche come un progetto culturale che testimonia quanto accade nel teatro italiano e, nei casi più felici, si fa promotore di nuovi stimoli culturali».

Nelle parole di Mattia Visani, che profumano di bilancio e di considerazione per capire come reinventarsi e costruire un piano di sviluppo, non manca la considerazione che «la casa editrice prima del Covid aveva fatto registrare un incremento di crescita pari al 68%, questo per far capire che cosa lo stop pandemico abbia interrotto – prosegue l’editore –. Solo per fare un esempio, il mese di giugno scorso abbiamo fatturato un terzo rispetto al mese precedente e la metà rispetto al 2021. Malgrado questi segnali, credo che Cue Press possa ancora intercettare una fascia di mercato come quella legata allo spettacolo che è in parte sguarnita, dopo la fine di alcune importanti e gloriose case editrici di settore. Certo, stampare libri – il volume cartaceo ha il suo fascino e non tramonta, anzi – oggi è un azzardo, ma noi siamo convinti che questo azzardo premi e ce lo testimoniano gli artisti che si affidano a noi».

Nelle parole di Mattia Visani coesiste la volontà di dare vita a pubblicazioni che contribuiscono alla scoperta di autori come Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij, con la preziosa collaborazione di Fausto Malcovati, oppure che fermino su carta il magistero di Giorgio Strehler nel centenario della nascita, o ancora raccontino il volto privato di Bernard-Marie Koltès nella pubblicazione delle sue lettere. Ma nel catalogo di Cue Press ci sono anche i giganti della drammaturgia contemporanea non solo italiana, basti pensare ai testi di Pascal Rambert, Sergio Blanco, Juan Mayorga oppure Tim Crouch, solo per fare qualche esempio, cui si affiancano gli italiani da Saverio La Ruina, a Daniele Timpano, a Emanuele Aldrovandi, a Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, anche qui la lista è più che mai incompleta. La casa Cue Press festeggia il suo decennale con un forte senso di realtà, consapevole di un orizzonte non facile, ma altrettanto convinta che oggi pubblicare libri – in cartaceo e in versione digitale – non solo sia un servizio, ma rappresenti un modo per fare cultura insieme agli artisti e ai teatri.

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17 Ottobre 2022

Milo Rau, Realismo globale

Maria Dolores Pesce, «dramma.it»

Che il Teatro sia o possa essere non solo aristotelica mimesi/rappresentazione ma soprattutto uno strumento per cambiare il mondo è oggetto di una riflessione antica che nella modernità si è fatta spesso più consapevole. Come l’alchimista sanguinetiano, il facitore di teatro combina in maniera singolare gli elementi della rappresentazione per produrre una materia estetica nuova da cui sprigionare un’energia che travalica, con la quarta parete, i confini della scena per entrare di diritto tra le forze in campo, dentro le dinamiche attraverso e quali il mondo «si fa» e si evolve. Milo Rau è forse l’artista che più di ogni altro progetta di organizzare ed utilizzare con più consapevolezza questo strumento/teatro, rendendo in qualche modo esplicite le leggi, o meglio le regole implicite, che lo strutturano. Cerca cioè di abbinare la riflessione estetica con la fattiva operatività, in una reciproca condivisione ed influenza di cui il cosiddetto «Manifesto di Gent» (coevo all’assunzione della direzione del teatro di quella città) è espressione dialettica. Da questo «Manifesto», che chiude il volume di cui trattiamo, citiamo in proposito due illuminanti affermazioni: «Il primo passo verso il ‘teatro di città del futuro’ è quindi trasformare le regole implicite in regole esplicite», la prima; «Non si tratta soltanto di rappresentare il mondo. Si tratta di cambiarlo», la seconda. Il libro dunque raccoglie ed anticipa le ragioni di queste conclusioni, attraverso una raccolta di conversazioni sul teatro con critici e studiosi, e con la riproposizione di alcuni testi e discorsi, chiusa appunto con il citato «Manifesto di Gent». La pubblicazione, infine, è introdotta da una partecipata prefazione/presentazione di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari che riconoscono in Milo Rau alcuni degli elementi del loro essere nel teatro, con alcuni punti che si possono percepire sovrapponibili con momenti del loro, più liricamente motivato, «Teatro Politttttttico». Un volume che è una sorta di autopresentazione di uno degli autori più noti e anche controversi del teatro mondiale di oggi.

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10 Ottobre 2022

Graces Anatomy. Dai corpi al testo

Emilio Nigro, «Persinsala»

A Lamezia Terme, Calabria tirrenica e centrale. Tra le province di Cosenza e Catanzaro, a un respiro dalla Costa degli Dei, probabilmente una delle più incantevoli d’Europa. Nella terra di ‘ndrangheta, evitando piagnistei dal sapore della commercializzazione dei dolori a fini di persuasione (pratica diffusa in regione), un presidio culturale, sociale, etico, punto di riferimento per ogni strato sociale.

Tutto pronto per realizzare il bando. Si pensa a Silvia Gribaudi, danzatrice – a stringere la divaricazione tra vocazione e proposta (la passione di Dario Natale per la danza, il ribadire la potenza dei nuovi linguaggi) – l’idea è del laboratorio aperto, professionisti e neofiti, un osservatore critico. E poi il Covid. Il lockdown. La scappatoia: realizzarlo in streaming. Graces Anatomy, a cura di Sandra De Falco, per la penna di Michele Di Donato, edito da Cue Press (69 pagine, € 14,99) è letteralmente il diario di bordo di quella esperienza.

Introduzione di Dario Natale e Domenico D’Agostino (Scenari visibili), in postfazione il resoconto dei partecipanti, parola a chi precedentemente aveva usato il corpo. Emozioni vivide, incanalate e costrette e perciò liberate in meccanismi puri di espressione. La rappresentazione a significare movimenti intimi tradotti in gesti, tentare di incarnare l’irrappresentabilità del presente vivo. La penna di Di Donato, sensibile auditore, pennella a guazzi d’acquerello, descrive a rigore di cronaca e verseggia coinvolto nella partecipazione. Quaranta performer, l’oggetto immaginifico del pensiero tradotto. Un’opera scultorea di riferimento: Tre Grazie, di Antonio Canova, «un nuovo ordinamento degli spazi dettato dai corpi».

Alcune foto prima di calare il sipario, postcards di un remoto tornato a galleggiare. Si fa inconsueta testimonianza, il volumetto, di vissuti umani in situazioni altre da cosa è convenzionalmente accettata come quotidianità. E di come l’arte, qualora ancora ci fosse bisogno di ribadirlo, si sovrapponga ai responsi di anima e psiche settati in modello seriale. La liberazione dei corpi, rianimati quali tracce di linguaggio, di presenza, di comunicazione, di relazione con l’altro. Un pezzo immancabile, nelle biblioteche teatrali.

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Malini teatro sociale
9 Ottobre 2022

Compito del teatro, fin dalla sua nascita è stato quello di relazionarsi con l’Altro

Andrea Bisicchia, «Libertà Sicilia»

Secondo Claudio Bernardi, il Teatro Sociale non era altro che la «nuova frontiera della scena internazionale», da intendere come una summa del potere relazionale. In verità, si può affermare che compito del teatro, fin dalla sua nascita, è stato quello di utilizzare il palcoscenico per mettersi in relazione con l’Altro, evidenziando la sua funzione sociale che, però, è ben diversa dal vivere una relazione di tipo sociale.

Il Teatro Sociale, a cui fa riferimento Giulia Innocenti Malini nel volume, pubblicato da Cue Press, è un «genere» che si afferma, nel secondo Novecento, durante la rivoluzione sessantottesca, la stessa che registrò la nascita di forme teatrali alternative a quelle degli Stabili che perseguivano il carattere artistico e, pertanto, estetico nelle loro produzioni.

Tra i nuovi generi, il Teatro Sociale si occupò di relazioni, senza però ricorrere con continuità alle esigenze della messinscena e del palcoscenico tradizionale. C’è da dire che, su questo argomento, ha lavorato molto l’Università Cattolica attraverso una serie di ricerche pubblicate sulla prestigiosa rivista Comunicazioni sociali; e attraverso gli studi di Bernardi, Cuminetti, Dalla Palma, Cascetta. In questa sede insegna Giulia Innocenti Malini, che è anche Operatrice e Coordinatrice del corso di Alta Formazione per Operatori nel Sociale. Cercare le origini di questo genere è il traguardo a cui tende l’autrice, convinta che, al di là degli obiettivi artistici o estetici, il Teatro Sociale possegga altri meriti che esercita con metodologie diverse, in particolare nel campo terapeutico ed educativo, da cui sono derivate delle discipline come la Teatroterapia, l’Educazione alla teatralità e il Drama-therapy, crogiolo di parecchie attività performative che utilizzano il gioco, il rito, la festa, il ballo, utili per creare delle interazioni che permettano al Teatro Sociale di intervenire nelle comunità, nei gruppi e persino nei singoli che soffrono forme diverse di disagio nelle case di cura, nelle scuole, nelle periferie, nei campi profughi, nelle carceri. Sulla spinta di questa necessità nacquero il Teatro di Animazione, che ebbe in Franco Passatore il suo punto di forza, esercitato nelle scuole o negli ospedali psichiatrici, ed ancora il Teatro di Base, i cui operatori diedero il loro apporto, anche politico, alle esigenze delle masse popolari.

Ci si imbatte in esperienze eterogenee, libere da esigenze professionistiche e proiettate verso l’essenza primordiale del teatro, sempre più concepito come Laboratorio, con obiettivi non artistici, ma terapeutici e pedagogici. Si tratta di Laboratori diversi da quelli di Grotowski o Barba, citati dalla Malini come fonte ispiratrice di un lavoro che verrà esplicato con attitudini diverse, perché fuori dal teatro, onde venire incontro a chi ne avesse bisogno.

Forse, il modello più giusto è quello di Giuliano Scabia con le sue «Azioni teatrali», con l’uso di grandi pupazzi per rappresentare i problemi delle nuove generazioni e la «disumanità» della vita metropolitana, pupazzi che facevano il verso a quelli di Peter Schuman e del «Bread and Puppet», con i suoi complessi spettacoli di strada. Di Scabia, inoltre, bisogna ricordare il suo lavoro accanto a Franco Basaglia e l’esperienza di Marco Cavallo, nata come opera collettiva e integrata dalla partecipazione degli stessi ammalati, con un lavoro molto approfondito, come quello di Armando Punzo nelle Carceri di Volterra, anche se esercitato con maggiore volontà e voluttà artistica.

L’autrice divide il suo lavoro in tre periodi, quello dello Stato nascente, durante il ventennio 1958-78, quello del Periodo rivoluzionario che coincide con gli anni 1978-2008, per concludere con alcune considerazioni che riguardano il presente, dove manca qualsiasi riferimento al lavoro svolto da Nanni Garella con i pazienti della USL di Bologna, con i quali, dopo lunghi percorsi di formazione, ha realizzato alcuni spettacoli, fra i quali il bellissimo Fantasmi (2002), primo abbozzo di Pirandello dei Giganti della montagna, con notevoli risultati artistici, che ebbe grande successo di pubblico e di critica, con i malati applauditi come veri e propri attori. Se vogliamo citare ancora un grosso nome, anche Robert Wilson nel 1968 si conquistò la fama di «terapista» sperimentale per il suo lavoro con un sordomuto e un malato di cerebropatia, per i quali creò delle vere e proprie pièces teatrali.

17 Aprile 2015

Killed by the hand that feeds you: Rafael Spregelb...

Joseph Paerson, «schaubuehne»

Rafael Spregelburd is telling me the story of David Hume’s chicken. It was first recounted by the philosopher Bertrand Russell, and later retold in a different form by Nassim Nicholas Taleb. The chicken believes the hand that feeds him loves him. «They feed me, they like me, I love them!» The chicken is, of course, […]
6 Marzo 2015

Ribalta digitale. Nuove esperienze di lettura

Rossella Consoli, «Rivista!unaspecie»

In Italia l’avvento del digitale, dalla sua nascita, ha scatenato dubbi e reazioni di perplessità nei lettori più ‘conservatori’ e negli ‘affezionati alla carta’: al suo odore, all’ingiallimento delle pagine col tempo, all’oggetto libro, insomma; quelli abituati alla compra-vendita dal vivo, nelle librerie, circondati da scaffali strabordanti, per intenderci. Ma quanto sappiamo dell’editoria digitale? Ecco […]
29 Gennaio 2015

Schimmelpfennig va in Visita al padre

Fabio Francione, «Il Cittadino»

Si recupera il primo titolo uscito nella collana di drammaturgia I testi della Cue Press di Mattia Visani: Visita al padre del drammaturgo tedesco Roland Schimmelpfennig. Tra gli ultimi numeri ci sono Totò e Vicé del compianto Franco Scaldati e La donna che legge di Renato Gabrielli, quest’ultimo attualmente fino all’8 febbraio in scena al […]
14 Gennaio 2015

La donna che legge. Renato Gabrielli alla ricerca...

Laura Timpanaro, «KLP Teatro»

È stata una prima molto applaudita e affollata quella de La donna che legge al Teatro Out Off di Milano. Una scrittura sofisticata, quella di Renato Gabrielli, che arriva da due suggestioni letterarie molto diverse fra loro: l’Ulisse di James Joyce, in particolare il capitolo Nausicaa, e il saggio di Francesca Serra Le brave ragazze […]
13 Gennaio 2015

Siamo asini o pedanti?

Maria Dolores Pesce, «Dramma»

Probabilmente programmato da tempo ma, per una di quelle casuali coincidenze o interferenze del destino che, anche loro malgrado, assumono il significato di una testimonianza feconda, esce per l’editore Cue Press di Imola, quasi contestualmente alla morte di uno dei protagonisti di quella stagione, questo testo di fine anni Ottanta del secolo scorso, una delle […]
4 Dicembre 2014

Cue Press, l’editoria digitale è un business da...

Federico Spadoni, «La Voce»

I migliori per sostenibilità del progetto, carattere innovativo e fattibilità. Così Cue Press si aggiudica il premio Impresa Creativa, il concorso orientato a sviluppare e favorire la nascita di startup. Tra le dieci idee imprenditoriali selezionate al termine di un percorso formativo di sviluppo, il progetto imolese pensato da Mattia Visani è stato selezionato fra […]
2 Dicembre 2014

Premio Impresa Creativa

Promosso dalle province di Rimini e Forlì-Cesena

Cue Press ha vinto il Premio Impresa Creativa 2014, un concorso promosso dalle province di Rimini e Forlì-Cesena per premiare le migliori iniziative imprenditoriali nel settore creativo. Il premio riconosce Cue Press come il miglior progetto d’impresa dell’anno, evidenziando il valore innovativo e culturale della sua proposta editoriale. Questo riconoscimento sottolinea l’impegno della casa editrice […]
25 Settembre 2014

L’orgoglio delle idee del Brecht regista

Fabio Francione, «Il Cittadino»

Ristampa in e-book con nuova prefazione a cura di Marco De Marinis di uno dei libri che ha portato all’attenzione del pubblico la capacità di lavoro sui testi non solo teorica di Brecht. Infatti Brecht regista. Memorie dal Berliner Ensemble, oltre a reggersi sulla riproposizione del diario che Hans Bunge (assistente di Brecht nella messinscena […]
19 Settembre 2014

Il trionfo dell’asinità: dalla prefazione di Si...

Oliviero Ponte di Pino, «Ateatro»

Come i primi apologhi composti da Marco Martinelli, Siamo asini o pedanti? evita ogni facile e consolatoria certezza. Rifiuta chiavi immediatamente utilizzabili, risposte univoche. A livello comunicativo, esplora e mescola diversi livelli di realtà e alterna varie forme di comunicazione: la fantascienza (come dice la didascalia iniziale, la pièce è ambientata a «Ravenna felice, anno… […]
20 Agosto 2014

Tutti i palchi portano a Parigi

Camilla Tagliabue, «Il Fatto Quotidiano»

Parigi val bene una messa in scena: con le sue centinaia di sale, le sue decine di teatri pubblici e privati, i suoi numerosi festival ed eventi, la Ville Lumière può, a buon diritto, essere considerata una delle capitali mondiali dello spettacolo dal vivo. Non a caso, la piccola casa editrice Cue Press ha deciso […]
3 Marzo 2014

L’editoria digitale sbarca in Sicilia

Diego Vincenti, «Hystrio», XXVII-3

Ci sono voluti circa trent’anni. Non pochi. Ma spesso il teatro è così, mette negli scatoloni in soffitta opere che ancora molto avrebbero da dire. Non solo agli spettatori. Trent’anni si diceva, per vedere pubblicati per la prima volta alcuni lavori di Enzo Vetrano e Stefano Randisi concepiti fra il 1982 e 1987. Ovvero Il […]
21 Novembre 2013

Libri di carta addio? Intervista (digitale) a un g...

Daniela Arcudi, «KLP Teatro»

Sarà l’inevitabile supporto di studio del nostro immediato futuro, non c’è dubbio. L’ebook è lo strumento più agile da portare in giro e non solo, oltre che supporto ideale per lo studio di ogni genere e grado. Il libro cartaceo, però, potrebbe comunque continuare a trovare un suo mercato, soprattutto se guardiamo a prodotti di […]
20 Settembre 2013

La danza, l’arte, la politica

«Studio28.tv»

Eugenia Casini Ropa, critica, studiosa e storica della danza. Prima laureata del Dams di Bologna, nel 1988 scrive La danza e l’agitprop, che ha deciso di ripubblicare in formato digitale nel 2013. Con lei parliamo della danza, del rapporto tra danza, digitale e sfera etico-politica. Il video è frutto dell’incontro con Eugenia Casini Ropa per […]
23 Maggio 2013

Cue Press: edizioni digitali per il teatro

Leonardo Bettocchi, «Leggi la Notizia»

È nato a Imola il primo progetto italiano di editoria digitale dedicato al teatro, Cue Press. A dargli vita è stato Mattia Visani, attore diplomato al Teatro Stabile di Torino e autore teatrale pubblicato dalla prestigiosa Ubulibri di Franco Quadri, che circa un anno fa ha deciso di ‘varcare la linea’ e diventare egli stesso editore. […]
21 Marzo 2013

Tra materiale e immateriale. L’editoria digitale...

Sergio Lo Gatto, «Teatro e Critica»

In lingua inglese ‘cue’ significa ‘battuta, battuta iniziale, attacco, imbeccata, suggerimento’. Il termine gioca con l’omofonia tra ‘cue’ e ‘queue’ che significa ‘coda, fila di persone’. Dunque ‘cuepress’, potrà corrispondere all’esclamazione: «Fate la calca!». Cue Press è la prima casa editrice digitale interamente dedicata al teatro. La casa editrice si muoverà su un doppio binario, […]
8 Gennaio 2013

Cue Press, l’editoria teatrale diventa digitale...

Diego Vincenti, «Hystrio»

La nicchia della nicchia, ovvero: l’editoria teatrale veicolata in digitale. Più futuro che presente, almeno per il momento. Ma è proprio in quest’ottica che si muove chi insegue un’idea, l’impresa. A volte chi riesce ad anticipare i tempi. Si veda Cue Press, progetto in fasce che attende il debutto ufficiale a primavera del prossimo anno. […]
13 Dicembre 2012

Premio Innovazione e Cultura

A Bookcity Milano, la casa editrice vince con voto unanime della giuria

La giuria si è espressa all’unanimità, Cue Press vince il Premio Innovazione e Cultura di Bookcity Milano 2012, la manifestazione culturale che celebra il mondo del libro e della lettura. Il premio è stato istituito per premiare i progetti editoriali che si distinguono per la capacità di unire innovazione tecnologica e promozione della cultura, con […]
10 Dicembre 2012

Cue Press, teatro online

Tatiana Tommasetta, «Corriere di Romagna»

Mattia, che cos’è la Cue Press e da dove nasce l’idea? Cue Press rappresenta, sul mercato italiano, la prima casa editrice di argomento teatrale a operare principalmente nell’ambito del digitale. Il cartaceo sarà ‘rispolverato’ per alcuni materiali di eccellenza e laddove ci siano le condizioni per garantire la qualità del manufatto. L’idea è nata osservando […]
6 Dicembre 2012

Cue Press, nei libri digitali i tesori da (ri)scop...

Mara Pitari, «il Resto del Carlino»

L’editoria teatrale debutta in formato digitale e rivoluziona il mercato del libro specialistico. È l’innovativo progetto di Mattia Visani e Stefano Tura, due giovani imolesi formatisi all’Alma Mater che hanno trasformato la propria passione per il teatro in una rivoluzione del settore, dando vita alla prima casa editrice di libri di argomento teatrale prodotti in […]
30 Settembre 2012

Il progetto Cue Press

Mattia Visani, «Stratagemmi»

Cue Press è un nuovo progetto di casa editrice di libri di teatro che opererà principalmente in digitale. Sarà online a marzo 2013, in occasione delle celebrazioni del 30^ anniversario della morte di Ludovico Zorzi, di cui pubblicherà l’opera più importante II teatro e la città. Il progetto editoriale si muoverà successivamente su un doppio […]
18 Settembre 2012

Palcoscenico digitale

Massimo Marino, «Corriere di Bologna»

Il futuro del libro è nell’editoria digitale. Ne sono certi Mattia Visani e Stefano Tura, due imolesi poco più che trentenni formatisi entrambi all’Alma Mater. Hanno appena fondato la Cue Press, una casa editrice teatrale che si affida ai supporti elettronici. I primi contratti saranno firmati agli inizi di ottobre e le pubblicazioni vedranno la […]